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| Ciao, mi chiamo Alessandra, ho 27 anni, e voglio raccontarvi la mia prima umiliazione. Sono alta 1.74, ho i capelli ricci, neri, lineamenti abbastanza delicati; snella, pelle liscia e chiara, fianchi regolari, terza di seno, sedere alto e sodo, gambe lunghe e snelle: insomma, faccio la mia figura - sono carina - pur non essendo bellissima. Avevo messo i jeans e le scarpe da ginnastica. Ero andata lì, con l'intenzione di dare una 'lezione' alla Signora, come tutti la chiamano, per il fascino che trasmette a chi le sta vicino. Con la scusa di un colloquio, io - che non ne avevo assolutamente necessità - l'avrei lasciata vantarsi e, quando mi avesse proposto il lavoro, mi sarei tolta la soddisfazione di rifiutarlo: sì, a lei, alla Signora, che sarebbe rimasta incredula e impotente per lo smacco subìto. Entrai nella stanza in cui mi accolse, che - devo ammetterlo - contrarariamente a quanto avevo immaginato (consideravo la Signora un'arricchita senza classe), era molto elegante senza sfarzo; tutto era soft, morbido e ovattato: moquette, quadri alle pareti - colori tenui sul marrone - che davano un senso di accoglienza e di gusto. Ignorò, o fece finta di ignorare, il mio abbigliamento, poco consono all'occasione. Lei, un po' più bassa di me - forse 1.72 - aveva, però, scarpe chanel, elegantissime, nere, che la rendevano alta quanto me, o poco più; era in tailleur, molto professionale, con collant in tinta. Mi fece accomodare alla scrivania, di fronte a lei, in una poltroncina molto comoda e in stile, simile alla sua; mi chiese se desideravo qualcosa da bere e accettai: mi aveva messo, quindi, totalmente a mio agio. La 'Signora' ha 39 anni, non è molto bella - anche se non si può dire che sia brutta - e trasmette il fascino di chi detiene il potere: mi guardava con occhi intensi, marroni anch'essi. Terminato l'aperitivo, mi disse: 'Si tolga le scarpe' - mi aveva colto di sorpresa - e aggiunse: 'Chiedo questo piccolo atto di sottomissione a chi viene qui'; non sapendo cosa fare, mi chinai leggermente e, con le mani, mi sfilai le scarpe, che posai accanto, restando con i piedi in collant, con le gambe accavallate. 'Si trova a suo agio?' mi chiese; anche in questo caso, non sapendo cosa rispondere, feci sì con la testa. Iniziammo il colloquio, e mi si rivolse in modo molto carino, non dando assolutamente l'impressione di superiorità che hanno molti in questi casi. Quindi, a un certo punto, si mise in piedi e abbassò la luce, che divenne alquanto soft e piacevole, e - vedendomi incuriosita - mi chiese, passando al tu: 'Che pensi, vuoi far qualcosa?'; 'Sì' - le risposi d'istinto - 'vorrei mettermi in ginocchio'. 'Sì' - annuì lei, come che se lo aspettava. Mise a lato le poltroncine - ora eravamo una di fronte all'altra - e abbassò ulteriormente le luci, lasciando la camera quasi in penombra. Mi inginocchiai, mi guardava dall'alto, e abbassai lo sguardo, con molta umiltà. 'Posso spogliarmi, Signora?' chiesi - con un filo di voce - arrossendo; 'Sì, puoi' mi rispose. Tolti i jeans, la maglietta che avevo, sfilai il reggiseno, e mi rimisi per terra. Nel frattempo lei - con velocità e disinvoltura - si era levati il tailleur e le scarpe, mostrando un corpo di tutto rispetto, che non avrei immaginato, e rimase in calze - che scoprii essere autoreggenti - e intimo; dalle mutandine, bianche, ricamate - di gran classe - si intravedevano i ricci neri, e mi avvicinai. 'Faccio atto di sottomissione', dissi con rispetto, e lei mi fece cenno che lo consentiva. La baciai a lungo, con devozione, sentendone il caldo e il gusto, anche per il sudore che era affiorato. Quando ne fui esausta, le tolsi le mutandine, e baciai, finalmente, la pelle nuda. Con le labbra, succhiavo con avidità, non volendo perderne neanche una goccia, e sentivo lei che, flessuosamente, assecondava i miei movimenti, con mugolii e, ogni tanto, mi si riavvicinava, facendomi sentire la sua presenza, anche fisicamente. Quindi, mi tolsi anch'io le mutandine e i collant, lì in ginocchio, di fronte a lei. Questa è la storia della mia prima umiliazione.
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